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Shark Tank: tra gli squali del programma Mediaset anche la barese Costanza, lady Ict

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Mariarita-Costanza

Donna e mamma di due bambini di sei e dieci anni. Ha iniziato la sua carriera scommettendo tutto sul suo talento, mettendo a rischio anche la casa familiare per ottenere un prestito bancario e fondare la sua impresa. Ma nessuno si aspetti sconti: è pur sempre uno “squalo” il cui compito sarà quello di stroncare o incoraggiare gli aspiranti imprenditori che le chiederanno un sostegno.
È barese, murgiana per la precisione, l’unica giudice femmina (e meridionale) di “Shark Tank” il nuovo programma in onda su Mediaset a fine maggio dopo l’enorme successo ottenuto all’estero, in cui startupper di tutta Italia dovranno convincere cinque affermati manager a investire nel loro modello.
Tra coloro che decideranno (forse) il destino dei proponenti c’è anche Mariarita Costanza da Gravina in Puglia, la signora delle Ict. È lei il direttore tecnico della Macnil – Gruppo Zucchetti, azienda fondata nel 2001 e dominante prima nel mondo degli sms e della messaggistica aziendale per poi diventare, negli anni, leader nel M2M, fleet management (della loro localizzazione gps gode anche Bari col progetto Infosmartcity), internet delle cose e telemedicina culminato con l’accordo col gigante del settore Zucchetti.
Una di quelle persone che può davvero dare indicazioni a chi si affaccia al mondo degli affari contando sulle proprie idee. Anche al di là del talent.

L’intervista a Mariarita Costanza:

Eccoci, direttore. Direttore o direttora? Come si fa a chiamare in azienda?

Ma no, in nessuno dei due modi. Siamo una you company, con un atteggiamento più immediato.

Sarà lo stesso approccio che avrà con chi si proporrà nel programma?

Be’ sì, tra i proponenti ci saranno startup, aziende appena nate, o semplicemente giovani che hanno brevettato un’idea o un prodotto, per cui il rapporto sarà molto amichevole seppure sarà richiesto un atteggiamento un po’ più autorevole e agguerrito. L’obiettivo infatti sarà cercare nelle ideee i bachi, per sviscerare l’idea in modo da dedurre se si tratti di una bella proposta in cui investire o invece una che non funzionerà.

Ma le toccherà fare fare anche la cattiva?

Un po’ sì, anche se di solito ho un atteggiamento piuttosto materno. Per fare una scrematura però c’è bisogno di essere determinati. Essendoci tante storie coinvolgenti c’è sempre il rischio di farsi prendere emotivamente, anche quando dal punto di vista del business non c’è molto di interessante.

Al di là del talent, lei in quella sede sarà una potenziale investitrice: prediligerà il lato dello show o quello del business?

Non essendo una showgirl (scherza, ndr) sarà un po’ difficile esprimere questo lato del carattere ma servirà. Noi baderemo più all’idea, ma ancora più alle storie, alle persone dalle quali l’idea stessa parte.

Quindi quali sono le caratteristiche che la convinceranno maggiormente della bontà della proposta?

Anche in azienda riteniamo che sia fondamentale quanto la persona creda in quello che sta facendo, quanta passione ci mette. Magari l’idea può anche essere non originalissima o particolare, ma se chi la avanza ci sta lavorando da tanto, ci ha creduto sin dal primo momento e sta facendo tutto ciò che serve e anche di più per realizzarla, mi mostrerò interessata. È difficile standardizzare delle caratteristiche, ma saranno importanti le potenzialità e gli sviluppi del business, specie quelli confacenti al mio settore. A parità di idee, farà molta differenza il modo di proporla: viene prima la persona.

E cosa le farà capire che invece non c’è futuro per quel concorrente?

La risposta “Non lo so” alla domanda “Cosa vuoi fare da grande?”: significa non sapere dove si vuole arrivare. In quel caso non ha proprio senso continuare, è un atteggiamento che penalizzo ed è un discorso generale che faccio sempre. Fare un tentativo, il “Ci provo, vediamo come va” sicuramente non funziona.

Lei ha una storia molto particolare e ha dalla sua parte un’ulteriore esperienza a contatto con i potenziali imprenditori italiani. Qual è la strada da percorrere perché il Paese ce la possa fare?

Mi ritrovo spesso in chi comincia ora, rivedendo me stessa 15 anni fa quando sono partita, ma con una differenza. All’epoca non si parlava di startup o investitori: per ottenere dalla banca il prestito con cui ho fondato l’azienda con mio marito ho dovuto presentare a garanzia le firme di genitori e suoceri perché non avevamo nemmeno la casa. I ragazzi di oggi sono più fortunati perché si possono affidare anche a imprenditori che tra tante difficoltà ce l’hanno fatta. Loro, più giovani e con nuovi prodotti, vivono in un’epoca in cui è possibile chiedere aiuti e ottenerli, non solo di tipo economico, ma soprattutto di esperienza, know-how e competenza, di soluzioni da adottare in caso di problemi.

Il suggerimento che può dare?

Crederci se c’è davvero passione e affidarsi a chi ci è già passato e ha commesso degli errori. Non è necessario andare all’estero per questo, si può fare anche in Italia.

fonte: repubblica.it

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