“Shark Tank” non è soltanto un buon programma in bilico tra l’utile e il divertente. è anche – anzi: soprattutto – fonte di oggettivo imbarazzo per Italia 1, che il giovedì sera mostra al pubblico quanto pochissimo basterebbe per illuminare al meglio un palinsesto vittima di modestia.
Tutto merito di un’idea in arrivo, tanto per cambiare, dagli Stati Uniti: si riuniscono in studio i titolari di varie start up, e li si mette a confronto con cinque imprenditori in vena di investimenti (Fabio Cannavale, Mariarita Costanza, Gianluca Dettori, Gianpiero Vigorelli e Luciano Bonetti).
Il risultato, per una volta, ha il profumo intenso di verità e sostanza. Zero postura e ringhio briatorici. Zero smania di alimentare tensioni eccessive. Al contrario. In un’atmosfera carica di rispetto e misura, s’intersecano le esigenze di due emisferi: quello affollato da chi è in cerca di soddisfazioni e denaro, e quello invece di coloro che hanno capitali disponibili per eventuali progetti. Quanto basta ad accendere, tra milionari ed aspiranti tali, trattative concrete per la compravendita di quote di capitale sociale.
Poco importano, in fondo, i dettagli dei business proposti, siano essi un modello inedito di traversine elastiche per rotaie, un sistema iperveloce per pagare il conto al supermercato, o il procedimento per ricavare tessuti dalle bucce d’arancia.
Coinvolgente, nell’insieme, è la fotografia di gruppo scattata da “Shark Tank”: quella di un Paese reduce dal coma profondo, ma con disperato desiderio di inventarsi un futuro.
Fonte: L’Espresso