La presenza della IoT nella vita quotidiana aumenterà, la sicurezza domestica è già un tema caldo. Ma mancano codici comuni. Nicola Lavenuta, fondatore e Ceo di Macnil – Zucchetti, propone la costituzione di un’organizzazione per la definizione di un linguaggio di comunicazione unico
La internet of things è un ambito che non è nato oggi. Una volta si chiamava tele-controllo, è una tecnologia che si è sviluppata negli anni ed è diventata sempre più sosfistica. Ma sopratutto, ciò che si è scoperto oggi è che gli oggetti connessi, che producono grandi quantità di informazioni (a volte anche molto piccole, ma a taluni scopi importantissime), possono migliorare la vita delle persone.
Questo è lo scopo massimo della Internet of things. Un esempio di questa visione della IoT è fornita anche in Horizon 2020, il noto bando della Commissione europea a sostegno dell’innovazione, che ruota tutto intorno al concetto di tecnologie che hanno un positivo impatto sulla società e gli individui.
L’internet of things è anche un grande cappello sotto il quale possiamo identificare diversi tipi di tecnologie, con impatto differente sulla persone.
Possiamo, intanto, riconoscere una prima categoria delle cose ferme, che non si muovono (ad esempio, gli oggetti connessi della smart home): questi oggetti possono trasferire informazioni che oggi chiamiamo big data e che permettono di fare delle analisi. Gli oggetti che rientrano in questa categoria (che un tempo ricadevano nella domotica) sono la caldaia, gli elettrodomestici, l’impianto di allarme, la tv, per arrivare anche a oggetti banali come la macchinetta del caffe. La domanda dell’uomo comune potrebbe essere: questi oggetti comunicano, ma che cos’hanno da dire? Sono tantissime le informazioni che possono fornire e che possono essere utili all’utente, al produttore dell’oggetto, a sistemi di gestione e di monitoraggio.
Propongo un primo un esempio un pò estremo, quello della macchinetta del caffè: che potrebbe avere da dire se stiamo usando o meno le cialde originali. Oggi esistono molte società che danno le macchinette in comodato d’uso gratuito a privati e aziende a patto che vengano acquistate le cialde dello stesso brand. Il business si fa sulla vendita delle cialde, e non della macchinetta. Succede però, che esistono sul mercato moltissime cialde compatibili, spesso preferite per ragioni di costo, e ciò rappresenta un grande danno per le aziende del caffè. Nel mondo della internet of things è sufficiente inserire un piccolo tag sulla cialda per connetterla e renderla capace di identificarsi come originale ed essere accettata dalla macchinetta.
Ma c’è un altro ambito di applicazione della IoT, molto importante e che sta venendo alla ribalta, interessando la vita di ognuno di noi e non meno il settore assicurativo. Si tratta della sicurezza domestica. L’aumento vertiginoso delle intrusioni nelle case ha fatto crescere l’allarme e di conseguenza l’utilizzo di antifurto per la casa. Questo oggetto (che è già dotato di intelligenza e di una tecnologia in grado di collegarsi all’esterno della casa) sta entrando in tutte le case. In uno scenario IoT, l’antifurto può diventare una black box, una scatola nera della casa, alla quale si aggancia anche in modalità wireless tutto il resto della componentistica domestica: dagli elettrodomestici ai sistemi di telemedicina (molto importante oggi sopratutto per i portatori di patologie croniche che hanno bisogno di continui controlli).
Questo potrebbe essere molto interessante per una compagnia assicurativa e alcune stanno già proponendo l’abbinamento della classica polizza furto e incendio, all’utilizzo di un dispositivo di monitoraggio connesso, cioè una centralina abbinata a dei sensori che tiene la casa sotto controllo. Ma molto ancora si può fare, siamo appena all’inizio dell’IoT.
L’unico freno allo sviluppo è ancora rappresentato dalla mancanza di un protocollo comune, cioè di un linguaggio di comunicazione unico per far viaggiare le informazioni facendosi riconoscere dalla rete. Se guardiamo ad altri settori tecnologici affini vediamo che il boom è arrivato con la standardizzazione di un protocollo comune: così è avvenuto nel GSM per esempio, che ha determinato il successo del mobile. Purtroppo, nell’IoT ancora ogni azienda utilizza i propri protocolli e questo è un problema serio perchè limita lo sviluppo di prodotti e l’interoperabilità tra sistemi. La definizione di uno standard, riconosciuto e utilizzato da tutti, serve a tutte le aziende che lavorano nella IoT. Si dovrebbe aprire un tavolo comune, cui partecipano le telco, le grandi aziende che hanno un peso e che si impegnano per prime a rispettare lo standard. Dietro lo sviluppo dello standard GSM (e di molti altri successivi), per esempio, c’è un’organizzazione internazionale che si chiama ETSI. L’Internet of things necessita di un’iniziativa molto simile, altrimenti non potrà decollare. Il mercato dell’Iot è molto grande, ma per tutti coloro che vogliono lavorare in questo settore è diventato un imperativo un’azione comune per raggiungere lo standard.